Quando si diventa mamme?

Associazione di Volontariato MammaCheMamme

Quando si diventa mamme?

Quante volte, non appena il test aveva dato il suo responso positivo, ho cercato sul web storie di parto cercando di essere preparata al mio. Leggevo esperienze, statistiche, articoli. Guardavo programmi tv per cercare quasi di viverlo come una sorta di prova generale per poi essere pronta alla mia entrata in scena finale. Ho incontrato donne nel mio stesso stato che invece preferivano non sapere, che si sarebbero affidate ad altri, al ginecologo, alle ostetriche, di certo non volevano pensarci (magari parlarne, di pensarci non si può fare a meno) finchè non sarebbe arrivato il momento. Donne che non volevano preparare la borsa per l’ospedale, quasi a voler rimandare il momento. Io no, io dovevo sapere, io volevo prepararmi. L’ignoto, questo che mi preoccupava. Perché infondo puoi cercare di prepararti quanto vuoi, ma si tratterà sempre di qualcosa di incomprensibile.

Nonostante tutto dovevo colmare questa paura dell’ignoto e continuavo a cercare. Tutto questo finchè finalmente ho fatto la scelta che mi ha fatto cambiare direzione, non solo per la gravidanza, ma per la vita. Ho scelto di seguire un corso preparto. Bella scoperta direte, lo fanno tutti. In effetti è così, anche a me non sembrava nulla di speciale, non avevo grosse aspettative. Mi aspettavo mi venisse insegnato a cambiare i pannolini, a fare questa famosa respirazione da praticare durante il travaglio, ad ascoltare delle lezioni insomma. Nulla di nuovo visto che appena data la notizia della dolce attesa, tutti si erano sentiti in dovere di darmi numerosissimi consigli, in base alla propria esperienza.

Mi ero abituata, in sostanza, ad accumulare informazioni, di ogni tipo e da chiunque. Anche in fila alle casse del supermercato trovavo sempre qualcuno che mi dava i suoi personali consigli. Mi trovai invece tutto d’un tratto a dover parlare. Sì, in questo corso una dolcissima ostetrica, che considero ormai una dolcissima amica, mi chiedeva come stavo, cosa pensavo, cosa mi preoccupava. Mi trovai per la prima volta, dopo 6 mesi di pancione, a definirmi “Mamma di..”. Non ero “incinta di..”, ero sua Mamma. Lo ero già, mi prendevo già cura di lei. Come anche mio marito, era già suo Papà. Si prendeva cura di me, quindi di lei. Finalmente capii come sarebbe stato il mio parto: mi sarei presa cura di lei, ci saremmo aiutate a vicenda. Scoprii di avere in me già tutte le competenze che cercavo; scoprii che ne aveva di sue anche la mia cucciola e che insieme avremmo saputo cosa fare una volta arrivato il momento. Ho imparato a considerare la mia piccola come una persona a sé, coi miei stessi bisogni, quindi primo fra tutti quello di essere ascoltata. E così mi ritrovai con la mia cucciola di 10 giorni a fare questa simpatica conversazione col pediatra: <<Le fate il bagnetto?>>  <<Sì, quando ha voglia..>> <<Ma chi? Lei?>> <<No! La bambina..se non ha voglia non lo facciamo ogni sera!>>.

Mi guardò con una espressione tra l’incredulo e quella di qualcuno che parla con una a cui manca qualche rotellina, senza sapere se prendermi sul serio o meno! Alla fine riuscì solo a raccomandarmi di farlo ogni giorno, anche se con poca convinzione… Eppure fino a quel giorno, avevo stentato a definirmi mamma. Perchè? Perché la società ci considera mamme solo dopo il parto? E allora in gravidanza cosa siamo se non mamme? Solo contenitori? In gravidanza vi hanno chiesto come stavate aldilà della cartella clinica? Vi hanno dato degli abbracci o dei sorrisi al posto di qualche tranquillante quando raccontavate delle vostre tensioni? E voi, avete mai parlato coi vostri piccoli con la certezza che stessero non solo ascoltando ma anche comprendendo cioè che gli raccontavate? 

Rosamaria mamma di Maddalena Maria

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